Typha latifolia
Ordine: Poales
Famiglia: Typhaceae
Descrizione: è una geofita rizomatosa, ovvero una pianta perenne le cui gemme sono localizzate sottoterra, su un fusto sotterraneo (rizoma).
Il fusto eretto può raggiungere i 3 m di altezza. Le foglie sono verde – bluastre lunghe ed erette, larghe fino a 2 cm, con le superiori oltrepassanti l’infiorescenza. L’infiorescenza è formata da due spighe sovrapposte: quella maschile sulla sommità, sottile e dall’aspetto “rinsecchito”, quella femminile a forma di sigaro e di colore bruno – nerastro a maturità. Quando termina la fioritura, tra giugno e agosto, questa si decompone liberando i semi avvolti da lanuggine.
Ecologia e curiosità: il nome scientifico della specie deriva dal Greco “typhe”, ovvero “pianta di palude”, mentre l’epiteto di specie dal Latino “foglia larga”.
Si tratta di una pianta legata agli ambienti acquatici, si sviluppa nella fascia di transizione tra la vegetazione acquatica e terricola.
In Riserva è abbastanza comune e facilmente osservabile e riconoscibile. Sono presenti anche altre due specie, T. angustifolia, dalle foglie più strette e infiorescenza femminile più corta, e la rarissima T. laxmannii, simile alla precedente ma con foglie più strette e infiorescenza più stretta e allungata.
Attualmente è usata nei sistemi di fitodepurazione delle acque reflue.
Anticamente le infiorescenze, composte da moltissimi “pelucchi”, erano utilizzate per imbottire materassi. Una volta essiccata era usata dai fioristi come decorazione, mentre nel Ferrarese il fumo copioso dei “sigari” accesi era usato per tenere lontane le zanzare.
Il rizoma veniva utilizzato già nel Paleolitico Superiore come pane: tra il 2005 e il 2007 le analisi su una macina in pietra ritrovata in Toscana, risalente a 30.000 anni fa ha rilevato tracce di amido di tifa.
Le lunghe foglie erano usate per farne panieri ed erano usate come sigillante tra le doghe delle botti di legno e per “stagnare” eventuali perdite. Erano usate anche per la protezione dei fiaschi di vetro, infatti i famosi fiaschi toscani erano protetti dalle foglie di “scarsica”.
I fusti erano usati in agricoltura come tutori a cui legare le coltivazioni.