Ailanthus altissima – Lista nera specie alloctone vegetali (L.R. 10/2008)
Ordine: Sapindales
Famiglia: Simaroubaceae
Descrizione: si tratta di un albero caducifoglie di origine asiatica, la cui forza sta principalmente nel vigore vegetativo ed espansivo, nell’incredibile velocità di allungamento radicale con relativa crescita di polloni e nell’elevatissima efficienza disseminativa.
Alto fino 15 m, corteccia liscia e grigia, chioma a ombrello. Le foglie sono composte, imparipennate, con foglioline acute di colore verde scuro dall’odore fetido. Produce tra giugno e luglio delle pannocchie verdastre di 20 – 50 cm. Il frutto è una samara, un achenio munito di “vela” coriacea che consente il trasporto da parte del vento, di colore rossastro.
Ecologia e contenimento: il danno ecologico procurato dall’ailanto è dovuto alla pesante alterazione del chimismo del suolo e dei rapporti di competizione nelle cenosi boschive, con vistosa caduta della biodiversità e banalizzazione dell’ecosistema. Provoca pesanti danni anche ai manufatti antropici (mura, aree archeologiche, marciapiedi ecc.).
L’eradicazione è estremamente difficile: possono essere estirpate solo le piante giovani, il taglio si rivela controproducente poiché causa la proliferazione dei polloni dalla ceppaia, ed è difficile da estrarre a causa dell’esteso apparato radicale. In più i residui di potatura dovrebbero essere gettati nella raccolta dei rifiuti indifferenziata o inceneriti.
L’ailanto è ormai diffuso in tutta Italia, dalle aree costiere a quelle montane.
Originariamente fu introdotto dalla Cina all’Orto Botanico di Padova nel 1760, per poi essere diffuso durante la seconda metà del ‘800, nel tentativo di affermare e diffondere l’allevamento della sfinge dell’ailanto (Samia cynthia), per sostituire l’allevamento del baco da seta (Bombix mori) minacciato da diverse malattie. Il tentativo fallì, ma gli alberi rimasero, ed ora è una specie completamente acclimatata.